L'emigrazione svizzera e ticinese
L’esposizione universale di Parigi, simbolo della II rivoluzione industriale
Alcuni cenni sull’emigrazione in generale e su quella svizzera e ticinese in particolare
Il periodo storico dell’emigrazione di massa è stato caratterizzato da una miriade di avvenimenti mondiali che hanno profondamente segnato l’evoluzione umana negli ultimi due secoli. Verso la metà dell’800 iniziarono infatti a delinearsi concretamente i cambiamenti importanti che avrebbero mutato la vita, specialmente di Europa, Stati Uniti d’America e Giappone.
Tutto ciò però non toccò solo l’aspetto economico e tecnologico legato alla seconda rivoluzione industriale che, sia pure in tempi diversi e a seconda dei paesi, prese avvio attorno alla metà del XIX secolo, per svilupparsi poi con l’introduzione dell’acciaio, l’utilizzo dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio.
Altri fenomeni emersero prepotentemente, come la consapevolezza dei diritti politici e di una conseguente più giusta democrazia, i progressi nel campo della medicina e delle condizioni igienico-sanitarie e alimentari. Queste ultime, da un lato abbatterono l’alto tasso di mortalità infantile e dall’altro innalzarono l’età media della popolazione, favorendo in pochi decenni una forte crescita demografica.
La costruzione delle ferrovie e degli scafi, prima in ferro e poi in acciaio, che soppiantarono le navi a vela, contribuirono ad ampliare notevolmente il settore dei trasporti. La realizzazione di canali artificiali, come nel 1869 quello di Suez, determinarono lo spostamento dei traffici tra l’Atlantico e l’Oceano Indiano, eliminando la circumnavigazione del Capo di Buona Speranza, sostituita con la rotta molto più breve del Mediterraneo e del Mar Rosso. In questo quadro le economie dei vari stati nazionali cominciarono a divenire interdipendenti, sebbene ciò provocasse anche una esasperazione dei mercati e la nascita di feroci nazionalismi.
Illustrazione di un’acciaieria di fine ‘800
Il mutamento del rapporto tra agricoltura e industria continuò ad intensificarsi sempre più a favore di quest’ultima, con il conseguente esodo della popolazione dalle campagne alle città, un fenomeno di migrazione interna che spesso non beneficiò di un adeguato e razionale sviluppo urbanistico. In effetti, solo negli ultimi decenni del XIX secolo, le amministrazioni delle grandi città attuarono, anche con successo, interventi di ristrutturazione urbanistica su larga scala. Un tangibile esempio fu la trasformazione operata a Parigi durante il secondo impero.
Questo processo di cambiamenti contribuì all’intensa crescita del fenomeno migratorio. Centinaia di migliaia di europei abbandonavano il vecchio continente, attirati dalle migliori condizioni economiche offerte dai paesi oltre oceano, in particolare gli Stati Uniti dove il mercato richiedeva molta manodopera per far fronte al grande sviluppo manifatturiero in atto.
Questa dolorosa pagina della demografia europea comportò sacrifici culturali ed affettivi non indifferenti, ma al tempo stesso favorì una maggiore partecipazione alla moderna civiltà che stava nascendo, contribuendo in pochi decenni al formarsi di società multietniche come avvenne negli Stati Uniti, in Australia o in Argentina.
L’emigrazione svizzera dal XIX secolo all’inizio del XX fa parte di un fenomeno generale senza precedenti che caratterizzò quel periodo storico dell’intera Europa. La demografia ufficiale stima in circa cinquanta milioni il numero di europei che abbandonarono definitivamente il continente tra il 1800 e il 1930. Prima del 1875 questo esodo era stato essenzialmente britannico e tedesco. L’apporto dei paesi latini e slavi accentuò il movimento a partire dal 1880 e soprattutto dopo il 1900. La diminuzione del fenomeno avvenne poi tra la prima guerra mondiale e la crisi negli anni trenta.
12 settembre 1848, Costituzione Federale Svizzera.
Per quanto riguarda la Svizzera in particolare, dando uno sguardo ai dati statistici sull’emigrazione oltremare, rileviamo che essa toccò alti valori nel 1854 - 81 - 85 - 87 - 92 e 1920.
Una sorta di emigrazione iniziò nel Medioevo, quando gli svizzeri venivano assoldati come mercenari in tutta Europa. Esistevano degli accordi fra i cantoni elvetici e alcuni stati europei che prevedevano non solo la mercede per il soldato, ma anche una contropartita economica per i cantoni medesimi. Solo nel 1859, dopo l’introduzione della nuova Costituzione federale del 1848, sì abolì il Söldnertum, ossia il servizio militare mercenario. Quella che noi normalmente intendiamo come vera emigrazione caratterizzò soprattutto l’ottocento e la prima parte del novecento. Essa non avveniva soltanto dalla Svizzera verso gli altri stati confinanti e oltremare, ma anche in senso contrario (immigrazione).
Quando si parla di emigrazione, l’immaginario collettivo pensa in genere a quella d’oltreoceano. Prima però bisognerebbe parlare di un andamento meno spettacolare: l’emigrazione stagionale nei paesi vicini, che era particolarmente diffusa in Ticino. Essa di fatto assicurava la sopravvivenza della popolazione quando le fonti di reddito locali si rivelavano insufficienti.
Qualche esempio: gli oggetti di paglia prodotti durante l’inverno venivano portati, nella stagione calda, sui mercati dell’Italia settentrionale e anche più lontano. I bleniesi erano cioccolatai a Milano, marronai in diverse città (fra cui Lione e Parigi) e albergatori, in particolare a Londra. Nel 1858 i ticinesi iscritti all’ambasciata di Parigi erano quasi ottomila.
Nel settore dei servizi, i mestieri esercitati all’estero erano svariati: facchini, camerieri, ramai (dalla Val Colla), arrotini, vetrai (da Claro), fornaciai (dal Malcantone) e spazzacamini (dalla valle Onsernone). Gli adulti venivano talvolta accompagnati da giovani ragazzi che dovevano anch’essi svolgere lavori pericolosi e malsani.
Domenico Fontana 1543-1607 e Carlo Maderno 1556-1629
La penisola italiana è stata per diversi secoli la principale e sovente unica meta dell’emigrazione stagionale. Nel settore edile, i ticinesi lavoravano come muratori, tagliapietra, capimastri, stuccatori o scultori. Nel XVI secolo gli architetti Domenico Fontana, Carlo Maderno e Francesco Borromini divennero celebri a Roma per le loro costruzioni. Più tardi ebbero notorietà numerosi architetti ticinesi, come Domenico Trezzini, Antonio Adamini, Domenico Gilardi e Giorgio Ruggia che operarono in Russia, nonché Giocondo Albertolli, nativo di Bedano, che si affermò in Italia con pregevoli realizzazioni, anche decorative.
Nella prima metà dell’ottocento i ticinesi lavoranti in Italia erano circa 10’000 e altrettanti emigravano stagionalmente ogni anno negli altri paesi europei. Nel 1853 il generale Radetzky, governatore del regno lombardo-veneto, ordinò l’espulsione dei ticinesi e la chiusura della frontiera. Più di 6’000 persone rientrarono così forzatamente in patria. Ciò provocò una conseguente crisi economica in Ticino che non aveva i mezzi per sostenere tutte queste persone rimaste senza lavoro. La misura, che fu revocata dagli asburgici due anni più tardi, produsse nuovamente un incremento dell’emigrazione.
L’emigrazione all’interno dell’Europa subì un parziale regresso verso la metà del XIX secolo, a causa delle nuove migrazioni di massa, soprattutto verso l’America. Questa novità, nella tradizione per altro antica dell’emigrazione svizzera, corrispondeva tuttavia ad un fenomeno generalizzato in tutto il vecchio continente.
In Svizzera erano le regioni alpine ad essere particolarmente interessate dall’emigrazione: Ticino, Grigioni, Glarona, Oberland bernese e alto Vallese. Da parte loro, anche Neuchâtel, Giura, Emmenthal, Argovia e la parte occidentale del Canton Zurigo costituivano zone dove l’emigrazione era abbastanza frequente.
La capacità economica di tutte queste regioni era così debole e il fardello costituito dall’aumento della popolazione così pesante, che in caso di cattivi raccolti, inondazioni ed altre catastrofi naturali, il minimo necessario all’esistenza non era più assicurato. La nascente industria, da parte sua, era concentrata ancora in poche zone e non abbastanza sviluppata per assorbire la popolazione delle campagne e i lavoratori a domicilio. I comuni, dove l’assistenza ai poveri costituiva un peso particolarmente gravoso, incoraggiavano i loro assistiti ad emigrare. Fa testo il comune di Airolo, che a metà ottocento mise a disposizione la cospicua somma di 25’000 franchi per pagare il viaggio in California a cinquanta cittadini disposti ad espatriare. A differenza dei comuni e dei cantoni, la Confederazione tenne dapprima una posizione di attesa e solo a partire dal 1870, di ostilità nei confronti dell’emigrazione.
Navigli all’ormeggio nel porto di Genova a inizio ‘900
La povertà delle masse e il fenomeno migratorio ad essa collegato si spiegano in parte con la rapida crescita della popolazione. Si stima che la popolazione in Svizzera sia passata da 1,7 milioni nel 1800 a 2,4 milioni nel 1850, incrementandosi poi massicciamente nei decenni successivi.
Con l’aggravarsi della congiuntura alla metà del XIX secolo, l’emigrazione svizzera oltreoceano (specie verso l’America del nord con quasi il 90% dei migranti, l’America del sud e in misura più limitata gli altri continenti) assunse una dimensione nuova, favorita anche dallo sviluppo dei trasporti e dalla propaganda delle agenzie di emigrazione.
Furono circa 50’000 gli espatriati oltremare nel decennio 1851-60, 35’000 nei due successivi e più di 90’000 dal 1881 al 1890. Il loro numero si stabilizzò poi tra 40’000 e 50’000 emigranti per decennio fino al 1930, per scendere poi a qualche migliaio negli anni 1930-40. Parimenti gli svizzeri residenti nei Paesi europei (emigranti e seconda generazione) si contavano a decine di migliaia: erano ca. 68’000 nel 1850 e 170’000 nel 1900, di cui 87’000 in Francia.
Gli anni 1914-18 segnarono una battuta d’arresto per l’emigrazione elvetica, seguita da una breve ripresa all’inizio degli anni 1920-30 (con un numero di circa 350’000 svizzeri residenti all’estero nel 1928), subito interrotta fra il 1930 e il 1940 dall’adozione da parte degli Stati Uniti di misure volte a contenere l’immigrazione.
Dopo il 1945 la tipologia del fenomeno mutò, divenendo un’emigrazione temporanea, essenzialmente di formazione o professionale, che si concludeva spesso con il ritorno in patria dopo pochi anni di soggiorno, alla quale uomini e donne hanno partecipato in misura pressoché identica (annualmente circa 15’000 svizzeri di ciascun sesso nel periodo 1980-90). Gli svizzeri all’estero alla fine degli anni ‘90 erano complessivamente 150’000.