La rosa dei venti del Lago di Lugano
La Rosa dei Venti, bussola ideale da noi scelta, suddivide l’orizzonte del lago di Lugano secondo determinate zone e trova un’analogia anche nella situazione di chi si appresta ad illustrare il lago non con il dipinto ma con la scrittura. Possiamo infatti parlare del lago di Lugano partendo da più punti di vista: quello del geografo, del geologo, del naturalista, del botanico, dell’ittiologo, del paesaggista, del vedutista, dello storico, dell’economista, fino a interessare gli operatori culturali e del turismo; per non dire degli ecologisti, moderni paladini dell’ambiente, cui si aggiungono quanti da sempre custodiscono l’amore del creato curando e rispettando il paesaggio naturale: acque, terra e cielo, materia disorganica ed esseri animali e vegetali.
I testi contenuti in questa presentazione sono parola ausiliaria all’immagine, documentazione letteraria a commento dell’iconografia inserita. Quest’ultima suscita sicuramente nell’osservatore un’emozione derivante dall’incanto dei paesaggi sollecitandone il desiderio di conoscere, di sapere, di toccare in lungo, in largo e in profondità un bacino d’acqua, i suoi litorali, i suoi dintorni, la sua storia, la sua vita, la sua cultura, di capire l’identità di un lago che ha la peculiarità di situarsi ai confini tra Svizzera e Italia.

Carta geografica del lago di Lugano del 1740 di G.D. Fossati







Lugano, vista sui palazzi Riva e Airoldi, litografia del 1829 di L.J. Villeneuve
La storia
La regione prealpina dei laghi costituì fin dai tempi più remoti una difesa naturale: verso nord contro i popoli d’oltralpe e verso sud contro i possessori della pianura. Per questa ragione non troviamo tracce di frequenti e consistenti invasioni attraverso quei territori. Una delle prime testimonianze documentarie sicure di un insediamento sulle rive del Ceresio risale all’813 d.C. Si tratta della cessione, da parte di Lodovico il Pio, della corte di Agnuzzo, nella pieve di Agno (la più antica di tutte, attestata fin dal 735), alla chiesa di S. Abbondio in Como. Attorno al Mille, Enrico III, re della casa di Franconia, in una delle sue discese in Italia, concesse i diritti sul mercato di Lugano al vescovo di Como, ossia l’esercizio di un patrocinio dell’episcopato comense sul Ceresio che permarrà anche in seguito.
Il Ceresio, per la particolare posizione geografica e per la rilevanza economica, era conteso dalle forze politiche che si fronteggiavano in Lombardia e che dall’esterno favorivano le fazioni dei guelfi e dei ghibellini, le cui roccaforti erano rispettivamente Sonvico e Lugano.
L’insediamento a Lugano di comunità di religiosi umiliati e francescani favorì la crescita di questo borgo e lo stabilirsi in esso di abitanti provenienti da altre località del lago.
Nel 1422 milizie di Lugano e di Locarno parteciparono alla battaglia di Arbedo, unendosi ai cantoni primitivi di Uri e Untervaldo contro i Milanesi. Le milizie svizzere furono sconfitte e il duca di Milano poté ristabilire il proprio controllo su Bellinzona e le valli superiori ticinesi.
Nel settembre 1510 ben sedicimila mercenari svizzeri, capeggiati dal cardinale di Sion Mathieu Schiner, occuparono Ponte Tresa e promossero incursioni su Varese. Le truppe francesi nemiche distrussero molti mulini della zona e i magazzini alimentari per togliere ai mercenari svizzeri la possibilità di approvvigionarsi. Nel 1512 il territorio del Ceresio fu completamente occupato dalle milizie svizzere e nel 1513 fu deciso il suo trasferimento sotto il governo sovrano dei dodici cantoni elvetici dando origine ai cosiddetti baliaggi.






Guardia Civica Luganese all’inizio dell’800, litografia su disegno di A. Escher
Tra il 1515 e il 1517 il ducato di Milano tentò invano di farsi restituire dagli svizzeri le terre ticinesi. A partire da quel momento il Ceresio divenne un lago ai confini tra due stati: da una parte lo Stato di Milano (Valsolda, Porlezza, Valle Intelvi), dall’altra i Cantoni svizzeri (baliaggi di Lugano e di Mendrisio). Tra gli abitanti della Lombardia settentrionale, ormai politicamente divisi tra terre comasche, milanesi e varesine da una parte e territori svizzeri dall’altra, i rapporti commerciali (e quindi umani), ufficiali o clandestini, rimasero molto stretti, trattandosi di gente che aveva sempre vissuto insieme, che parlava la stessa lingua e che si richiamava ad analoghe tradizioni.
Una delle particolarità che accomunava la regione dei tre laghi, Ceresio, Lario e Verbano, era l’emigrazione artistica delle maestranze, il cui riferimento storico era insito al paesaggio stesso ed era la pietra calcarea. È da essa che prese origine la specializzazione professionale dei picapietra, tagliapietra, scultori, muratori e costruttori, durata quasi un millennio, dal Mille a buona parte dell’Ottocento, e da cui nacque la competenza e la conoscenza della pietra applicata prima in loco e poi con le migrazioni nei grandi cantieri d’Europa.
Questa epoca ebbe due grandi stagioni: il Romanico e il Barocco; la prima legata soprattutto ai tagliapietra, la seconda ai costruttori di muro. Furono questi a portare il barocco italiano adattandolo ad istanze gotiche che ancora esistevano nei territori d’emigrazione al di là delle Alpi.
Nel territorio del Ceresio, per le sponde svizzere come per quelle italiane, l’emigrazione era diretta soprattutto alla vicina Lombardia e al Piemonte.
Nel 1797, conseguenza delle guerre napoleoniche, il Ceresio si trovò a confinare con la Repubblica Cisalpina e nel 1798 l’intera Svizzera fu occupata dalle armate francesi con la proclamazione della Repubblica Elvetica. Nel 1803 il Ticino, grazie all’arbitrato di Napoleone sancito dall’Atto di Mediazione, entrò a fare parte della Confederazione svizzera, come Cantone indipendente e sovrano.







Rivoluzione del Canton Ticino del 1839, litografia di A. Soldati
Ceresio “svizzero” e Ceresio “italiano”
L’identità ticinese - nel territorio del Ceresio in modo particolarmente tangibile - si evidenzia per la sua natura duplice e complessa. Per lingua e cultura, come attesta la storia artistica letteraria e fino al 1500 anche quella politica, il Ticino può essere considerato l’”Italia svizzera” (Stefano Franscini) o la “Lombardia svizzera” (Rudolf Schinz).
Durante i tre secoli di dominazione elvetica, pur perdurando l’identità dei ticinesi con la stirpe italica, il loro carattere di “italianità” si amalgama progressivamente - risultato delle strette consuetudini statuali, politiche e amministrative - con quello insorgente di “svizzerità”.
Fra i fattori salienti che segnano l’evoluzione nel modo di percepire la propria identità da parte dei ticinesi ricordiamo: dal fronte elvetico il rifiuto di aderire alla Repubblica Cisalpina (1798), la conquista della sovranità cantonale ticinese (1803), il susseguente assestamento politico nella Confederazione con la Costituzione federale del 1848, l’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo (1882) e la separazione religiosa dalle diocesi di Como e Milano (1884); dal fronte insubrico l’unificazione italiana (1870) e più tardi l’instaurarsi del regime fascista in Italia (1922-1945).
Nel corso dell’Ottocento il patriottismo ticinese muove da un evidente sforzo di adesione e integrazione alla Svizzera federale ma si sostanzia allo stesso tempo anche nell’adesione agli aneliti di libertà dell’Italia risorgimentale e degli esuli d’ogni paese giunti in Svizzera (Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini).
In campo artistico Vincenzo Vela scolpisce le statue “elveticissime” di Tell, del generale Dufour o della muliebre Elvezia, cui fanno riscontro, sempre dello stesso autore, opere “italicissime” quali il Garibaldi equestre a Como e lo Spartaco, o quel Francesco Calloni con la carabina, emblema del Ticino tiratore che combatte per la causa risorgimentale italiana. Ma se l’italianità e la svizzerità nel Ticino dell’Ottocento si alimentano idealmente a vicenda senza opporsi, nel corso del Novecento questa duplice identità innesca un rapporto conflittuale e mal vissuto.
A questo mutamento concorreranno l’interventismo italiano nella prima guerra mondiale (1914-1918), la campagna di stampa del periodico ticinese “L’Adula” che era partito da un programma di italianità e che poi aveva perduto credito col farsi propagandista del nazionalismo italiano; infine l’irredentismo, il fascismo e l’entrata in guerra dell’Italia. Dopo la caduta di Mussolini e l’armistizio sottoscritto dall’Italia l’8 settembre 1943 con gli anglo-americani, le frontiere elvetiche si aprirono all’esodo dei militari italiani minacciati di deportazione dall’invasione tedesca della penisola, come pure alla fuga degli antifascisti e degli ebrei dei quali era stato decretato lo sterminio.






Veduta su Campione, dipinto del 1880 di C. Jotti
L’enclave di Campione: una storia singolare
Campione, nei documenti del VII secolo denominato Campellione o Campelliune, più tardi Campiglione (1675), fu un insediamento longobardo assai antico documentato già nel 721 e collegato a monte con Arogno, allo sbocco della Valle Intelvi, dove v’era un fortilizio degli arimanni campionesi.
Campione, di per sé situata nel territorio della diocesi di Como, fu attratta sotto la giurisdizione spirituale dell’arcivescovo di Milano in conseguenza di una donazione fatta l’anno 777 da Toto I, signore fondiario del luogo e capostipite della facoltosa famiglia longobarda detta appunto dei “Totonidi”.
La peculiarità del feudo campionese, come pure le immunità concesse al borgo, fu riconfermata nel 1697 dall’imperatore Leopoldo.
Nonostante alcuni tentativi effettuati nel 1815 dai rappresentanti elvetici al Congresso di Vienna per ottenerne l’assegnazione alla Confederazione, Campione fu incorporata nel Lombardo-Veneto e, successivamente, nel Regno d’Italia.
Il 5 ottobre 1861 il governo italiano cedette alla Svizzera la rupe di S. Martino, da sempre appartenuta a Campione e famosa per la forca dei condannati a morte. Nel 1933, per opera del fascismo, Campione assunse enfaticamente l’attuale denominazione di Campione d’Italia.







Lago di Lugano verso la Valsolda, dipinto del 1910 di G. Galbusera
Agli onori della letteratura
Il Ceresio dovette attendere fino all’ultimo quarto dell’Ottocento per reggere il confronto con il Lario e il Verbano, entrambi ben più estesi e rinomati, con Como che vantava luoghi storici e monumentali assai più numerosi di Lugano e con le isole Borromee famosissime per i loro giardini e palazzi.
Il Lago di Como e il Lago Maggiore erano ormai anche entrati nella storia della letteratura, grazie rispettivamente a “I Promessi sposi” di Alessandro Manzoni (1827) e a “La Chartreuse de Parme” di Stendahl (1839).
Il merito di portare anche il Lago di Lugano ai medesimi onori spetta ad Antonio Fogazzaro (1842-1911), al suo romanzo “Piccolo mondo antico”, apparso nel 1895 e tradotto in varie lingue. Grazie all’opera di questo scrittore il Ceresio entrò nella letteratura italiana acquisendo fama mondiale.
La vicenda di “Piccolo mondo antico” si svolge in Valsolda (di cui erano originari gli antenati dello scrittore da parte materna) e su altre sponde del lago poco dopo la metà di quel secolo, durante gli ultimi anni della dominazione austriaca, narrando la tragica storia di Ombretta, bambina sventurata annegata nel lago, e dei suoi genitori Franco e Luisa, separati dalle vicende risorgimentali. Fogazzaro, proprietario di una villa a Oria, trovò più volte occasione di recarsi a Lugano e di citare il lago e le sue località in altre sue opere minori.
Vi sono anche altri romanzieri che per averla frequentata parlano di Lugano nelle loro opere: Salvatore Farina, Luciano Zuccoli (L’occhio del fanciullo), Amelia Osta, in arte Flavia Steno (In terra libera e poi Il sogno che uccide), Camilla Bisi-Albini (Romanzo del Liceo) e Gherardo Hauptmann (Romito della Soana); infine, tra i poeti, Bertacchi, Ribeaux e De Mohr (Canzoniere del Ceresio).







La diligenza del S. Gottardo, incisione del 1870 di Kohler
Ferrovia del San Gottardo, cartolina del 1910
Navigazione e sviluppo turistico
Il lago di Lugano deve la sua fortuna turistica alla bellezza naturale del suo paesaggio e alla mitezza del suo clima, caratteristiche che attrassero i viaggiatori della Svizzera tedesca, sempre più numerosi dopo la costruzione della ferrovia del Gottardo (1882). L’epoca cruciale dello sviluppo economico e sociale moderno di Lugano, con evidenti ripercussioni sul piano urbanistico e demografico, risale al periodo 1850-1920, durante il quale il settore turistico e alberghiero del Ceresio conobbe il suo massimo splendore, nonostante la concorrenza del Lario e del Verbano. La comparsa della ferrovia nel nostro Cantone (1872-1882) ebbe un impatto determinante sullo sviluppo dell’economia locale. Il movimento dei viaggiatori cominciò a trasformarsi gradualmente in quel turismo di massa e di brevi soggiorni a noi oggi familiare.
La costruzione del ponte-diga di Melide, inaugurato nel 1847, pose solide basi ai vari progetti di sviluppo economico legati all’introduzione della navigazione a vapore nel 1848 sul Ceresio e alla costruzione di ferrovie.
Nel 1855 fu fondata la Società di Navigazione ad opera della Camera di Commercio di Lugano e il medesimo anno fu inaugurato l’Hôtel Du Parc, primo esempio importante nella storia alberghiera locale. Oltre all’introduzione della navigazione sul Ceresio, altri elementi determinanti l’impulso turistico furono: per Lugano, la sistemazione del lungolago con la costruzione del primo tratto del quai (1868-1872), l’adattamento di antiche ville signorili ad alberghi, l’innalzamento di nuovi edifici alberghieri, la creazione di suggestive fontane pubbliche; nel resto della regione, l’apertura nel 1874 dei primi tracciati ferroviari ticinesi (Bellinzona-Lugano e Lugano-Chiasso) e di tutta la linea del Gottardo nel 1882, nonché di tante altre ferrovie e funicolari.









Lago di Lugano, manifesto del 1946 di A. Cariget
Tra il 1882 e il 1910 a Lugano si ebbe un continuo incremento della popolazione, grazie ai forestieri provenienti da altri cantoni svizzeri o dall’estero, attratti dalle prospettive offerte dall’industria del turismo nella Svizzera italiana. Intorno al 1900 la colonia svizzero-tedesca divenne una componente assai importante della comunità luganese, specie nel ramo alberghiero.
Lo scoppio della guerra del 1914-1918 trovò tutti impreparati e comportò la repentina interruzione del traffico viaggiatori con un conseguente durissimo contraccolpo per l’industria turistica e alberghiera.
L’elettrificazione della linea ferroviaria, avvenuta nel 1922, favorì la ripresa del movimento turistico. Un nuovo ristagno vi fu con la grande crisi economica internazionale degli anni trenta. Dal 1937 al 1938, triste presagio del successivo contraccolpo inferto dalla seconda guerra mondiale, Lugano subì un calo nel numero dei suoi ospiti.
In seguito all’avvento dell’automobile fra le due guerre mondiali furono costruite nuove strade, tra cui quella di Gandria realizzata tra il 1933 e il 1937. Questa permise di collegare, lungo l’asse longitudinale, la rete stradale ticinese con l’autostrada Milano-Laghi, aperta nel 1925. Essa fu il felice preludio di quell’allacciamento di Lugano alla rete autostradale europea che dagli anni ‘60 in poi avrebbe contribuito a fare della città un centro finanziario ragguardevole sul piano nazionale e internazionale.








Chiesa di Santa Maria degli Angioli a Lugano, affresco monumentale della Crocifissione del 1529, uno dei capolavori di Bernardino Luini
L’itinerario artistico e paesaggistico
Che forma straordinaria ha il Ceresio. Questo nostro lago se osservato da un immaginario punto zenitale sembra quasi un ghirigoro simile agli scarabocchi di quelli che tracciano i bambini, quando in tenera età si illudono candidamente di scrivere. I panorami che oggi possiamo ammirare sono gli stessi da alcune migliaia di anni nelle forme in cui sono stati plasmati dal ritiro dell’ultima glaciazione. L’uomo da molti secoli è attratto su queste rive, non solo dalla bellezza della natura, ma anche da un clima dolce, quasi mediterraneo, che rende più gradevoli le asprezze della vita quotidiana.
E, quasi come una conseguenza spontanea, nacque l’esigenza di ritrarre artisticamente questi ambienti sia tra coloro che li vivevano quotidianamente, sia nell’animo dei viaggiatori che, per le più varie ragioni, transitavano per questa regione. Necessità culturale di cui abbiamo testimonianza almeno a partire dal 1600, epoca a cui risalgono le più antiche documentazioni iconografiche di queste contrade.
Partendo da Lugano e seguendo in senso orario la Rosa dei Venti cercheremo di illustrare brevemente aspetti artistici e culturali della regione del Ceresio. Siamo consapevoli che questa presentazione vuol essere solo un timido stimolo al lettore per invogliarlo ad approfondire maggiormente la ricchezza del patrimonio che andiamo a presentare.
